Amniocentesi

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    Le informazioni qui riportate hanno solo un fine illustrativo: non sono riferibili né a prescrizioni né a consigli medici. Wikipedia non dà consigli medici: leggi le avvertenze.

    L'amniocentesi è una procedura che consente il prelievo transaddominale di liquido amniotico dalla cavità uterina; è la metodica più diffusa per ottenere campioni biologici utili al fine di effettuare una diagnosi prenatale, ma anche la più antica, affondando le sue radici agli inizi del XIX secolo quale pratica chirurgica per il polidramnios o per l'instillazione di soluzioni ipertoniche al fine di indurre l'aborto.

    Scopi

    Nel secondo trimestre di gravidanza possono verificarsi condizioni nelle quali sia richiesto il prelievo di liquido amniotico per fini diversi da quelli citogenetici.
    L'esame del liquido amniotico serve a valutare il cariotipo, cioè l'assetto cromosomico fetale, al fine di valutarne la normalità o al contrario la presenza di anomalie.
    La diagnosi molecolare ha infatti permesso di utilizzare gli amniociti come tessuto fetale valido per la determinazione di numerose affezioni geniche. Ciò ha ridotto di gran lunga i rischi connessi alle tradizionali tecniche di diagnosi come la funicolocentesi o il prelievo di cute fetale: è oggi possibile, tramite il semplice prelievo di liquido amniotico, diagnosticare più precocemente, con maggiore accuratezza e con minore rischio, tutte quelle affezioni per le quali si ha a disposizione la diagnosi molecolare.

    Periodo, rischi e costi

    Il periodo ideale per eseguire l'amniocentesi è tra la 15° e la 19° settimana, quando l'amnios ha raggiunto dimensioni sufficienti perché la pratica non costituisca un rischio per il feto. Il rischio di aborto spontaneo connesso all'amniocentesi è stato ritenuto, per 30 anni, dell'1% [1]. Questo studio e' stato l'unico trial randomizzato per circa 30 anni. Gli studi attuali mostrano, invece, che nei centri di eccellenza l'incidenza di abortività spontanea, natimortalità, e mortalità neonatale non sono statisticamente differenti nel gruppo sottoposto ad amniocentesi rispetto a chi non la esegue [2]. Letteratura ancora piu' recente dimostra come il rischio di aborto, nei centri di alto riferimento, si aggiri attorno allo 0,1 %[3]. Dopo circa 30 anni, il classico lavoro di Tabor è stato superato da uno studio di eguale disegno clinico: si tratta del più grande Trial Randomizzato fino ad oggi pubblicato sulle amniocentesi. [4]. Questo trial, eseguito su di una popolazione di 36247 soggetti reclutabili, ha dimostrato che il rischio di aborto, nelle donne che vennero sottoposte ad amniocentesi dopo aver assunto un' antibiotico-profilassi, è risultato bassissimo (0,031%). Come necessaria conseguenza di tale risultato scientificamente provato, in considerazione della sua evidenza clinica classificata come Livello IB, l'utilizzo di un antibiotico prima di eseguire un'amniocentesi è divenuta Raccomandazione A, quindi tutti gli operatori debbono attenervesi fino a quando un trial successivo (di adeguato o maggiore livello di evidenza) non dimostri il contrario. Fino a quel momento la mancata osservanza di una raccomandazione di tipo "A", rappresenta una responsabilità dal punto di vista medico legale del clinico.
    E' opinione unanime, comunque, che il rischio sia legato essenzialmente alla esperienza di chi esegue la procedura[senza fonte].
    Il costo medio di un esame nelle strutture private varia da 500 a 700 euro pe rl'amniocentesi tradizionale nella quale si ha soltanto l'esame citogenetico tradizionale con una risposta ottenibile in 15-20 giorni. Questo costo però può variare grandemente ed aumentare a seconda degli esami aggiuntivi che oggi, quasi routinariamente, vengono eseguiti sul liquido amniotico. Inoltre, in molti laboratori di genetica, si eseguono sul Liquido Amniotico anche metodiche di biologia molecolare quali la ibridazione fluorescente in situ (FISH) o, ancor meglio, la reazione a catena della polimerasi (qFPCR) che permettono di ottenere un risultato in tempi brevissimi (24 o 48 ore). Questo comporta costi aggiuntivi. Molto recentemente, per ragioni etiche, in alcuni Centri si è iniziato ad includere, gratuitamente e di routine, lo screening delle malattie metaboliche, basato sulla rilevazione dei composti amminoacidici, e purinico-purimidinico, nel liquido amniotico. Nelle strutture pubbliche, sia per le donne con età di 35 anni o superiore, ovvero per i soggetti a rischio, l'esame è in genere gratuito a seconda delle disponibilità dei Centri pubblici Regionali.

    Liquido amniotico e cellule staminali

    Le cellule staminali amniotiche sono biologicamente molto attive, multipotenti, in grado di moltiplicarsi numerose volte e di differenziarsi in quasi tutti i tessuti dell'organismo [5].
    Scoperte nel 2007 da un gruppo di ricercatori italo-americani tra cui Paolo De Coppi, le cellule staminali amniotiche sono oggetto di numerosi trials clinici e studi scientifici [6], condotti anche da laboratori e scienziati italiani tra i quali Giuseppe Simoni [7].
    Le cellule staminali amniotiche sono in grado di differenziarsi in cellule dell'adipe, dell'endotelio, del sangue, dei tessuti ossei e cartilaginei, e perfino del sistema nervoso.[8]
    È possibile conservare le cellule staminali contenute nel liquido amniotico: tale conservazione delle cellule staminali contenute nel liquido amniotico costa in Italia intorno ai mille euro circa per un periodo di 20 anni.
    Attualmente sono in corso numerosi trials clinici sull'uomo, tendenti a curare patologie quali l'ernia diaframmatica o la ricostruzione della trachea, mentre si attende l'esito di studi riguardo il diabete, le malattie degenerative neurali, la retinite pigmentosa [9] [10].
    Tuttavia, essendo ancora in una fase sperimentale, l'applicazione clinica di tessuti derivati da cellule staminasli amniotiche non è attualmente supportata da prove scientifiche sperimentate sull'uomo quindi, al momento, è solo una "possibilità" della medicina rigenerativa.

    Anomalie diagnosticabili

    Sindrome di Down

    La più frequente e sicuramente una delle più importanti anomalie diagnosticabili mediante l'amniocentesi è la sindrome di Down, detta anche mongolismo, dovuta al fatto che nelle cellule il cromosoma numero 21, invece di essere normalmente doppio come tutti gli altri cromosomi, è triplo (da qui il nome trisomia 21).

    Fibrosi cistica

    Un'altra malattia studiata tramite l'amniocentesi è la fibrosi cistica, malattia genetica che colpisce alla nascita un bambino su circa duemila. Il bambino malato presenterà gravi problemi respiratori e digestivi poiché tutte le secrezioni mucose dell'organismo sono molto dense.
    Il primo sintomo di solito è l'ostruzione intestinale alla nascita, cui segue una progressiva insufficienza respiratoria.
    Oggi, grazie alle continue cure, questi bambini sopravvivono. Alcuni vivono fino a 20-30 anni ma la loro qualità di vita è, il più delle volte, molto scadente.
    La malattia si verifica in conseguenza dell'unione di due portatori sani della fibrosi cistica. Si calcola, infatti, che una persona su venti porti nel suo patrimonio genetico questo gene alterato. Dall'unione di due di questi portatori, il rischio di generare un bambino affetto da fibrosi cistica è del 25% (un bambino affetto su quattro), mentre il 50% sarà portatore sano.
    Attualmente, grazie agli straordinari progressi della biologia molecolare, attraverso lo studio del DNA è possibile eseguire nello stesso liquido amniotico dell'amniocentesi uno screening delle più frequenti mutazioni geniche responsabili della fibrosi cistica.
    Se l'analisi molecolare dovesse rivelare la presenza di un feto non affetto dalla malattia, ma solo portatore di una di queste mutazioni, è bene che i genitori sappiano che sarà necessario procedere ad ulteriori accertamenti diagnostici, che vanno da una ricerca molecolare più specifica di un maggior numero di mutazioni, a controlli ecografici più approfonditi, fino a dosaggi enzimatici sul liquido amniotico. Tutto questo per escludere (per quanto possibile) che il feto, portatore della mutazione nota, sia in realtà “malato” per la contemporanea presenza di un'altra mutazione rara o ignota.
    Accade talvolta che il sospetto diagnostico avvenga durante un'osservazione ecografica. Questo sospetto viene prontamente verificato mediante l'esecuzione di un'amniocentesi con la ricerca delle mutazioni genetiche note. In alcuni casi si può praticare lo studio degli enzimi microvillari, sostanze prodotte dall'intestino normalmente e che, nel liquido amniotico dei feti affetti da fibrosi cistica, risultano alterati, confermando il sospetto diagnostico ecografico.

    Altre analisi

    Sordità congenita
    Il rischio di ricorrenza delle sordità per cause genetiche o ambientali (infezioni prenatali) alla nascita è di 1 su 1000.
    La sordità può essere isolata e sporadica o far parte di un quadro clinico più complesso, associata ad altre varie patologie. Le forme genetiche più comuni sono bilaterali, di tipo percettivo. Tutte le frequenze possono essere colpite ed alcune forme ereditarie presentano danni per i toni alti, medi e bassi.
    L'esordio può avvenire alla nascita o in epoca successiva, l'evoluzione è variabile, progressiva o stazionaria. La sordità profonda alla nascita causa il mancato sviluppo della parola.
    La maggior parte delle sordità congenite è di natura ereditaria con trasmissione recessiva del carattere o sporadica.
    In entrambi i casi è stata accertata la responsabilità di un gene, che regola la sintesi di una serie di proteine necessarie per l'integrità dell'organo dell'udito: le connexine. In alcuni centri si esegue uno screening con il quale è possibile effettuare la ricerca di oltre il 50 % delle mutazioni che sono responsabili dell'insorgenza delle forme di sordità congenita più frequenti, sia sporadiche che ereditarie, ma legate solo al gene GJB2 della Connexina 26.
    La conoscenza di un eventuale stato di sordità, addirittura in epoca prenatale, può favorire l'organizzazione di un programma terapeutico appropriato presso specialisti del settore, che saranno quindi in grado di adottare rimedi sia chirurgici, sia logopedici, sia protesici, al fine di sviluppare le capacità audio-sensoriali utili a riportare la normalità nel paziente affetto).

    Ritardo mentale

    All'inizio degli anni '40, furono due studiosi, Martin e Bell, che individuarono l'esistenza di una grave forma familiare di ritardo mentale presente nei maschi (sindrome dell'X fragile). Da allora, fino agli anni '90, tale sindrome sembrava confinata in un numero molto limitato di soggetti. Dal 1991 in poi la ricerca genetica, grazie alle innovazioni della biologia molecolare, ha messo sempre più a fuoco gli intimi meccanismi responsabili di tale processo e ci si è accorti che, a fianco alla classica sindrome descritta dal 1943 dai suddetti studiosi, esistono tutte una serie di altre gradazioni di ritardo mentale di livello variabile a seconda della entità del difetto genetico.
    Per comprendere come tale processo si realizzi, si deve tener presente che alla base di una ottimale organizzazione delle proteine che compongono importanti strutture cerebrali (come l'ippocampo, il verme cerebellare ed il sistema ventricolare), presiede una serie di geni che si localizzano sul cromosoma X. Essi presentano normalmente, lungo la loro struttura, alcuni siti detti "fragili", costituiti da triplette di nucleotidi (CGG), che si ripetono diverse volte lungo il braccio del cromosoma. Tutti possediamo questi piccoli siti, ma in numero modesto, solitamente inferiore a 50. Se il numero di tali siti supera un certo valore (oltre 200) inizia a comparire un ritardo mentale che diviene sempre più rilevante in proporzione all'aumentare del numero delle ripetizioni e del sito genetico mutato. Per comprendere bene tale meccanismo bisogna intanto familiarizzare con alcune definizioni. Si tratta in definitiva di due termini che si riferiscono a due tipi di soggetti:
    i portatori della premutazione (coloro che presentano da 50 a 200 triplette CGG), che possono trasferire il gene ai loro figli, amplificando il difetto genetico nel processo di generazione e producendo così una prole affetta dalla mutazione franca;
    gli affetti dalla sindrome, detti anche soggetti mutati (coloro che presentano oltre 200/250 triplette CGG), il cui grado di deficit intellettivo dipende dal numero delle triplette e dall'esatta localizzazione del gene).
    Distrofia muscolare di Duchenne [modifica]
    La distrofia muscolare di Duchenne è una malattia genetica degenerativa dei muscoli, i quali progressivamente si indeboliscono fino alla paralisi totale. Una delle forme di distrofia più frequente e grave si manifesta già nei primi tre anni di vita e causa la perdita della deambulazione nella seconda infanzia. La causa dell'insorgenza di questa patologia è da ricercare in mutazioni sul gene che codifica per la proteina distrofina. Queste mutazioni si trasmettono come carattere legato al cromosoma X; la Distrofia di Duchenne colpisce solo i maschi (50% della prole maschile) e viene trasmessa da donne portatrici asintomatiche del gene difettoso. La metà delle figlie potrebbero essere a loro volta portatrici.
    È possibile evidenziare la presenza del tratto genico “mutato” analizzando in modo specifico alcun dei tratti in cui è maggiore la frequenza delle mutazioni. Moderne tecniche di biologia molecolare permettono di svelare anomalie a carico del gene con un'accuratezza molto elevata. Queste stesse tecniche possono essere impiegate per l'identificazione della malattia in epoca prenatale attraverso il prelievo di villi coriali o liquido amniotico).

    Paternità del nascituro

    Grazie sempre al DNA è possibile conoscere anche la paternità del nascituro.
    Il test di riconoscimento di paternità o compatibilità biologica è un test eseguito in laboratori attrezzati di biologia molecolare. È un esame che serve per attribuire la paternità biologica di un soggetto messo a confronto con un altro. L'esame viene svolto mediante lo studio del DNA delle cellule, estratto dai linfociti del sangue periferico, dalle cellule presenti nelle urine o da altri campioni biologici. In particolare vengono analizzati sul DNA delle particolari sequenze, dette microsatelliti, ripetute da due a sette volte, denominate STR (Short Tandem Repeat), che vengono trasmesse dai genitori ai figli. Lo studio della compatibilità biologica dei soggetti viene effettuato confrontando il genotipo emerso dallo studio dei microsatelliti analizzati sia sul DNA della saliva che su quello delle urine. L'attendibilità della risposta equivale al 100% nel caso di esclusione quando il pattern del DNA tra un presunto padre ed il figlio/a dovesse risultare diverso per più di due microsatelliti. Se il genotipo di un soggetto è per metà condiviso con quello del presunto padre e per l'altra metà con quello della madre, la probabilità della compatibilità biologica tra presunto padre e figlio/a è superiore al 99,99%.

    Ricerca diretta di agenti infettivi

    Una recente indicazione al prelievo del liquido amniotico è la ricerca diretta di agenti infettivi. Si può oggi individuare, mediante la tecnica della PCR (reazione a catena della polimerasi), direttamente il genoma, ossia la forma replicativa, dell'agente infettivo, superando i metodi tradizionali indiretti che esprimevano la produzione anticorpale fetale (IgM). Tali metodi infatti risultavano molto imprecisi poiché dipendevano molto dalla variabile maturità del sistema immunitario a sua volta legato all'età gestazionale.
    Dosaggio dell'alfa-feto proteina [modifica]
    Pur nei limiti della sua attendibilità, non si può non fare riferimento tra le indagini biochimiche effettuabili sul liquido amniotico al dosaggio dell'alfa-feto proteina, i cui valori, correlati alla presenza di difetti del tubo neurale (ma anche ad una serie di altre malformazioni congenite quali la sindrome di Meckel, il teratoma sacro-coccigeo, la nefrosi congenita, ecc.) potevano confermare o comunque rafforzare un sospetto o una diagnosi ultrasonografica. Ovviamente le attuali apparecchiature ecografiche e l'esperienza degli operatori hanno notevolmente limitato i confini applicativi ed il valore di tale esame.

    Dosaggio dell'acetilcolinesterasi

    L'accuratezza della diagnosi prenatale è ulteriormente dimostrata nei difetti del tubo neurale (NTD) dal dosaggio dell'acetilcolinesterasi, enzima specifico del tessuto nervoso i cui valori elevati in età gestazionali precoci sono, seppure incostantemente, associati ad anomalie.

    Talassemia

    SPOILER (clicca per visualizzare)
    Per approfondire, vedi la voce Talassemia.


    Screening delle malattie metaboliche
    Le malattie metaboliche, di diversa severità, colpiscono un bambino su 500. Le conseguenze più gravi, neurologiche e fisiche, di queste malattie derivano dal fatto che una o piu’ sostanze alimentari diventano tossiche nei soggetti che presentano alcuni errori del metabolismo. Gli screening di queste malattie alla nascita permettono, per quanto possibile, di ridurre i danni neurologici che un’alimentazione non specifica può produrre in questi bambini. Fare questi screening dopo la nascita è utilissimo ma, spesso, è troppo tardi. Infatti in alcuni casi, la madre già in gravidanza potrebbe intervenire attraverso una opportuna terapia (alimentare o farmacologica) per evitare i gravi danni neurologici che tali errori congeniti determinano già a partire dalla vita intrauterina. Pur trattandosi di uno screening (e quindi non di una diagnosi certa) si riescono ad individuare molti soggetti che sono affetti da queste malattie e fare prevenzione già in utero. Attraverso lo screening è oggi possibile ottenere informazioni sulle concentrazioni di alcuni composti responsabili di circa 37 patologie nell'ambito degli errori congeniti del metabolismo:
    Purine
    Deficienza di purina nucleoside fosforilasi, Disturbi del metabolismo dell’acido urico (deficienza di ipoxantina-fosforibosil-transferasi - tra cui sindrome di Lesch-Nyhan, sindrome di Kelley-Seegmiller, nefropatia iperuricemica familiare giovanile, ipouricemia renale); Xantinuria.
    Pirimidine
    Acidemia/uria orotica; Anemia emolitica da deficienza di uridina-5’-monofosfato idrolasi 1; Diidropirimidinuria; Forma epatocerebrale della miopatia da deplezione del DNA mitocondriale o sindrome mngie; Piridinemia familiare, o pirimidinuria, o timinuria, o uraciluria.
    Amminoacidi N-acetilati e creatinina
    Morbo di Canavan; sindrome da deficienza di creatina.
    Acidi organici
    Acidemia/uria malonica; Acidemie/urie da accumulo di acido metilmalonico (acidemia/uria metilmalonica; acidemia/uria metilmalonica vitamina B12-sensibile tipo A; acidemia/uria metilmalonica vitamina B12-sensibile tipo B; acidemia/uria metilmalonica + omocistinuria tipo C; acidemia/uria metilmalonica + omocistinuria tipo G)
    Amminoacidi
    Istidinemia; Iperlisinemia; Deficienza di arginina-guanina-amidino transferasi; Glicina-encefalopatia; Iperleucinemia; Iperisoleucinemia; Ipervalinemia o malattia delle urine a sciroppo d’acero; fenilchetonuria; Deficienza di tirosina amminotransferasi; Ipermetioninemia; Deficienza di ornitina transcarbossilasi; Citrullinemia; Difetto del trasporto di citrullina; Iperornitinemia-Iperammonemia-Omocitrullinuria o sindrome HHH; Deficienza di arginino-succinato sintasi; Deficienza di carbammil-fosfato sintetasi; Deficienza di glutammina sintasi; Deficienza di succinico semialdeide deidrogenasi.
    I test biochimici di screening sulle malattie metaboliche non possono affermare con assoluta certezza né l'esistenza né l’assenza di condizioni patologiche, correlate o non correlate, ai deficit enzimatici relativi ai composti elencati, e questo vuol dire che talvolta il test può presentare dei falsi positivi (soggetti sani che risultano positivi) e falsi negativi (soggetti malati che risultano negativi). La patologia eventualmente emersa dai valori riscontrati dovrà essere confermata con ulteriori test genomici e approfondimenti molecolari.

    Microarray

    SPOILER (clicca per visualizzare)
    Per approfondire, vedi la voce Villocentesi#Microarray.


    Negli ultimi anni sono stati introdotti i microarray, utilizzati per permettere l'esame di un grande numero di prodotti genici simultaneamente. La tecnica oggi utilizzata (CGH, Comparative Genomic Hybridization microarray analysis) permette una più accurata identificazione delle anomalie dei geni fetali rispetto alla tradizionale analisi del cariotipo.
    Per quali donne è indicata [modifica]

    L'esame viene proposto[11] alle pazienti giudicate ad elevato rischio di anomalie cromosomiche, come ad esempio:
    donne di età superiore ai 35 anni in Italia, 38 anni in Francia
    aumentato spessore della translucenza nucale
    presenza di difetti fetali strutturali maggiori individuati con l'ecografia
    precedente figlio affetto da anomalia cromosomica
    genitori portatori di alterazioni cromosomiche (traslocazioni, inversioni, aneuploidie).
    Altre indicazioni sono rappresentate da:
    malattie infettive (citomegalovirus, parvovirus B19...)
    infiammazioni in utero (l'esistenza di un'infezione endoamniotica è anche causa di diverse patologie che possono impedire un buono svolgimento della gravidanza. Per questo, infatti, sta prendendo sempre più piede la ricerca sul liquido amniotico di alcune sostanze mediatrici della flogosi quali le citochine. In particolare la ricerca dell'interleuchina-6 sul liquido amniotico presenta una straordinaria efficacia nella diagnosi predittiva di numerose patologie del feto in utero).

    Epoca di gravidanza

    L'amniocentesi presenta indicazioni che possono essere differenti a seconda dell'epoca di gravidanza nella quale la si esegue. Conviene pertanto dividerla in precocissima, precoce e tardiva.

    Amniocentesi precocissima
    La sempre maggiore richiesta di ottenere risposte citogenetiche precoci ha indotto, negli ultimi anni, ad eseguire il prelievo del liquido amniotico sempre più precocemente. Ciò anche in relazione alla possibilità che il prelievo del liquido amniotico in epoca inferiore alla 15a settimana di gestazione si ponesse come una valida alternativa al prelievo dei villi coriali. Tale procedura, almeno agli inizi della sua introduzione clinica, era gravata da un maggior rischio abortivo ed è tuttora innegabilmente caratterizzata da una più alta incidenza di insuccessi diagnostici, o per mancata coltura o per errori di genere tecnico. Le prime esperienze si ebbero in particolare ad opera di studiosi statunitensi. Negli U.S.A. infatti la Food and Drug Administration aveva, già dall'inizio dell'introduzione della villocentesi, ristretto molto il numero dei centri, sia pubblici, sia privati, abilitati a tale procedura. Ciò ha condotto molti Clinici ad adoperarsi al fine di ottenere una valida alternativa alla villocentesi in termini di precocità di diagnosi.
    In effetti, attualmente, in relazione ai possibili rischi malformativi della villocentesi prima delle 7/8 settimane di gestazione, tale procedura viene solitamente eseguita alla 9°/10° settimana. E se a questo aggiungiamo gli altri 15 giorni di tempo necessario alla coltura dei villi (poiché spesso la lettura diretta fallisce o lascia dubbi), si arriva così, spesso, ad ottenere il risultato solo intorno alla 12°/13° settimana. Pertanto, se il prelievo del liquido amniotico si anticipasse opportunamente, la differenza temporale risulterebbe così piccola da rendere assolutamente preferibile la amniocentesi in termini di precocità, di accuratezza e di rischio.
    Si pongono però due problematiche.
    La prima relativa alla possibilità di ottenere in epoche precoci una quantità e una qualità di cellule amniotiche tali da rendere comunque possibile la coltura citogenetica, la seconda riconducibile ad un possibile maggior rischio abortivo della metodica.
    Per quel che concerne il materiale prelevato, la coltura abbisogna di una sufficiente cellularità; la quantità minima di liquido richiesto non deve essere inferiore ai 10 ml. Ciò in considerazione della differente percentuale di cellule presenti nei diversi liquidi prelevati non solo in ragione dell'epoca di prelievo ma anche in relazione ad una ampia variabilità individuale.
    In merito al rischio specifico, la letteratura ritiene che per le amniocentesi eseguite intorno alla 14° settimana il rischio abortivo è sovrapponibile a quello delle amniocentesi della 17° settimana. Dalle casistiche delle amniocentesi eseguite prima della 14° settimana, si deduce che tra la 10° alla 12° non si hanno informazioni specifiche anche perché in tali settimane vi è comunque un alto rischio generico abortivo di difficile computo nel calcolo del rischio relativo. Per quel che concerne il rischio rispetto alla biopsia dei villi coriali, la amniocentesi intorno alla 14° settimana sembrava, all'inizio, meno pericolosa. L'attuale miglioramento della tecnica del prelievo dei villi ha ridotto al minimo la differenza di rischio tra le due tecniche.
    L'esperienza di grandi centri specializzati, che effettuano circa 5000 procedure all'anno, porta a concludere che l'amniocentesi intorno alla 14° settimana è lievemente meno rischiosa della villocentesi (2 aborti su 1000 procedure). La percentuale di fallimenti di coltura è equivalente alla amniocentesi precoce (1 caso su 300). La percentuale di errori diagnostici è la medesima (inferiore ad 1 caso su 1000 colture), qualora la biopsia dei villi consenta una lettura diretta degli stessi. La percentuale di errori è sensibilmente più alta per le villocentesi nelle quali sia necessario eseguire la coltura dei villi.
    L'indicazione specifica dell'amniocentesi intorno alla 14° settimana risulta quindi essere quella citogenetica. Si tratta quindi di una accettabile alternativa al prelievo dei villi coriali rispetto ai quali risulta gravata da un ridotto rischio abortivo. Per quel che concerne la precocità della risposta, a conti fatti, questa è ritardata sempre di circa un mese, rispetto alla coltura dei villi coriali, e di ben 6 settimane se la villocentesi permette una diagnosi per lettura diretta.
    L'indicazione specifica dell'amniocentesi intorno alla 11° settimana rimane quella citogenetica, in alternativa alla villocentesi. I risultati diagnostici ritardano circa 2/3 settimane rispetto ai tempi medi di risposta di una villocentesi. Il rischio sembra però sovrapponibile. Anche la percentuale di insuccessi diagnostici per problemi di coltura è il medesimo. Non si vede pertanto il motivo di preferirla alla biopsia dei villi coriali qualora si volessero ottenere risposte in tempi veramente precoci. Per ciò che concerne le problematiche della coltura e della refertazione esse non sembrano differire da quelle dell'amniocentesi precoce. Per ultimo va accennato all'attuale possibilità di ottenere un referto diagnostico in tempi brevissimi ricorrendo all'esame degli amniociti, direttamente in metafase, con la tecnica della ibridazione fluorescente in situ (FISH).

    Amniocentesi precoce
    L'amniocentesi eseguita tra la 16° e la 18° settimana rappresenta a tutt'oggi la metodica più frequentemente utilizzata ai fini diagnostici di citogenetica prenatale. Come si è detto il rischio abortivo della tecnica si aggira mediamente intorno allo 0,1%.
    Di tale percentuale si deve tener conto quando si valuta il rischio/beneficio della procedura diagnostica. Il rischio abortivo va infatti comparato con le percentuali di anormalità cromosomiche per l'età. Va inoltre considerato che la percentuale di anomalie riscontrate nelle procedure è sempre maggiore rispetto alla nascita. Le metodiche più precoci sono caratterizzate da un maggior numero di riscontri patologici; ciò è dovuto ad una selezione naturale operante durante la gravidanza per i feti patologici. Esistono comunque una serie di problematiche delle quali conviene tener conto.
    La prima è data dall'insuccesso della coltura, cosa che avviene in 1 caso su 300. La seconda è dovuta alla possibile contaminazione del liquido amniotico con materiale materno. Tale errore, secondo alcuni studi, avviene molto raramente (0,3%) se si ha l'accortezza di gettare le prime gocce di liquido che fuoriescono dall'ago. La terza è il riscontro di aberrazioni cromosomiche generatesi in vitro, durante la coltura, note come pseudomosaicismi. Queste sono solitamente isolate ad un unico clone cellulare, ma presenti in una unica coltura e solitamente si tratta di anomalie talmente bizzarre, come le tetraploidie, che non sono riscontrabili in natura sui vivi.
    Errori ed artefatti a parte, c'è la possibilità che le sole cellule del liquido amniotico siano portatrici di un vero mosaicismo assente poi negli altri tessuti fetali. Tale casualità, molto frequente nei villi coriali, risulta estremamente poco probabile negli amniociti. Il riscontro di un mosaicismo nell'amniocentesi deve di solito essere considerato come mosaicismo fetale essendo confermato in oltre l'80% dei casi.
    Vi è inoltre da segnalare la presenza di alcune rare sindromi in cui l'anomalia dei cromosomi non è presente in tutti i tessuti ma esclusivamente in alcuni di essi. I veri problemi insorgono quando si riscontrano anomalie cromosomiche particolari, per le quali siamo sicuri della tecnica, ma non conosciamo l'espressività fenotipica. Si tratta il più delle volte di piccoli cromosomi sovrannumerari, inversioni, traslocazioni apparentemente bilanciate, che interessano essenzialmente gli autosomi. L'indagine sui genitori è di grande ausilio poiché, spesso, riscontriamo la stessa anomalia in uno di essi. Qualora ci trovassimo di fronte ad una mutazione "de novo" avvenuta nel feto, vale la pena, ove possibile, eseguire attenti bandeggi o utilizzare sonde per micromappature geniche onde poter stabilire se nella traslocazione o inversione vi sia stata perdita di materiale. Quando non si abbia a disposizione un laboratorio in grado di eseguire esami di tale tipo, oppure se tali esami richiedessero un tempo di esecuzione tale da renderli inutili al punto di non poter fruire dell'informazione ai fini prenatali, è importante sapere che il rischio empirico che il feto sia portatore di un'anomalia è stimato intorno al 10-20%. Un'accurata ecografia morfologica è sempre indicata.

    Amniocentesi tardiva
    Il prelievo di liquido amniotico eseguito nell'ultimo trimestre di gravidanza può ovviamente comprendere tutte le indicazioni già esposte per le precedenti, ma solitamente si prefigge fini più specifici e mirati a diverse problematiche. Tra queste vale la pena di prenderne in considerazione almeno due:
    L'immunizzazione materno-fetale.
    La valutazione dello stato di maturità polmonare fetale.
    Immunizzazione materno-fetale [modifica]
    L'isoimmunizzazione materno-fetale rappresentò, prima dell'introduzione della profilassi con immunoglobuline specifiche nel 1968, una delle più gravi e temibili complicanze della gravidanza con un enorme tributo di vite in termini di poliabortività e di morti intrauterine. L'eziologia dell'immunizzazione risiede nello scatenarsi del sistema immune materno nei confronti degli antigeni ematici fetali quando sussistono le seguenti condizioni:
    Incompatibilità del sistema Rh (allele D) con madre Rh- e feto Rh+.
    Passaggio di sangue in senso feto-materno
    Per tale condizione si è anche cercato di stabilire in passato la quantità di sangue necessario affinché tale risposta immunitaria avvenga. L'esame della letteratura, vecchia oramai di quasi trent'anni, indicava in dosi variabili, dai 3 ai 10 ml la quantità minima necessaria. Si segnalavano comunque eccezioni. Esistono poi delle condizioni ancillari:
    maggiore è l'emorragia feto-materna, maggiore sarà il rischio di sviluppare l'isoimmunizzazione.
    La seconda gravidanza è a maggiore rischio in considerazione del periodo intercorso atto a sviluppare una risposta immune secondaria, più grave, per il fenomeno della sensibilizzazione.
    Il gruppo materno e quello fetale giocano un ruolo molto importante poiché si è notato che le isoimmunizzazioni materno-fetali per il fattore Rhesus sono più rare se esiste una incompatibilità ABO.
    L'immunizzazione, prima dell'introduzione della profilassi, era presente in circa l'8% delle madri Rh- che davano alla luce figli Rh+. Tale dato aumentava di un altro 8% alla seconda gravidanza. Se esisteva incompatibilità ABO, come si è detto, la frequenza diminuiva all'1-2%.
    La trasfusione feto-materna avviene in 3 gravidanze su 4. Solitamente molto modesta, pochi ml, solo raramente risulta maggiore dei 30 ml che rappresentano la quantità massima neutralizzabile dalla dose standard di 300 microgrammi di immunoglobuline anti D.
    L'entità dell'immunizzazione sembra essere dipendente dalla quantità del sangue trasfuso.
    Alcune condizioni ostetriche, quali il distacco di placenta, le emorragie da minaccia d'aborto, ecc., aumentano il rischio di sensibilizzazione. Il rischio è aumentato anche per le procedure di diagnosi prenatale quali la amniocentesi e la villocentesi.
    L'insorgere di una condizione di immunizzazione produce una anemia fetale a causa della emolisi prodotta dagli anticorpi materni sull'antigene Rh disposto sulla membrana dei globuli rossi.
    Quando i globuli rossi sono distrutti, rilasciano emoglobina che viene convertita in bilirubina indiretta. In condizioni normali la bilirubina nel liquido amniotico deriva dalla trachea e dal polmone fetale e solo raramente da cause materne (iperbilirubinemia materna). Bisogna sempre fare attenzione a non esporre il liquido amniotico alla luce solare prima di analizzarlo allo spettrofotometro, giacché la luce altera il pigmento bilirubinico.
    Lo stato di emolisi fetale è determinato comparando il dato derivato dalla misurazione delle densità ottiche a parametri noti. In centri specializzati si preferisce eseguire la funicolocentesi e studiare direttamente lo stato di anemia fetale. L'informazione che essa fornisce è infatti più diretta della stessa valutazione del dosaggio della bilirubina nel liquido amniotico. La comparsa, all'ecografia, di ascite od anasarca va intesa sempre come dato di massima severità.
    Maturità polmonare fetale [modifica]
    Nel 1971 Gluck presentò i suoi primi dati sulla correlazione tra maturazione polmonare fetale e presenza di surfattante (una miscela di composti tensioattivi che permette agli alveoli di mantenersi dilatati) nel liquido amniotico. Prima di questa data la valutazione della maturità fetale non si basava su alcun dato certo. L'esperienza clinica insegnava già che la maturità si raggiungeva presso il termine della gravidanza ma per conoscere la datazione del parto ci si basava semplicemente su dati anamnestici, spesso imprecisi, e sulle dimensioni dell'addome fetale, estremamente variabili in relazione a fattori dipendenti dalla crescita e dallo sviluppo.
    La presenza di surfattante nel liquido amniotico deriva dal continuo scambio tra questo compartimento e gli alveoli polmonari. Lo studio qualitativo, più che quantitativo, dei fosfolipidi disciolti nel liquido amniotico riflette le diverse fasi del processo maturativo. Dopo la 35° settimana, infatti, il contenuto di lecitina sale improvvisamente, mentre la sfingomielina raggiunge un plateau ed addirittura può decrescere a gravidanza avanzata.
    Il rapporto lecitina/sfingomielina permette di apprezzare la attività di produzione del surfattante dei corpi lamellari da parte dei pneumociti di secondo ordine. La struttura di base dell'alveolo polmonare è costituita da una intricata rete di capillari, disposta a modo di canestro, all'interno della quale vi è un rivestimento di un sottile stato di cellule monostratificate: i pneumociti di primo ordine. Tra questi se ne differenziano alcuni per il loro aspetto cuboide, i pneumociti di secondo ordine che, come si è detto, sintetizzano surfattante.
    Solo 4 dei molti fosfolipidi presenti nel surfattante sono valutati al fine di stabilire la maturità polmonare. La lecitina è il fosfolipide più largamente rappresentato, costituendo circa il 50-70%; essa tende a saturarsi progressivamente durante tutta la gestazione. All'inizio si pensava che la lecitina svolgesse il ruolo di surfattante. Le attuali conoscenze sul fosfatidilinositolo (PI) ed il fosfotidilglicerolo (PG) attribuiscono a questi la funzione di stabilizzatori del composto. La lecitina pertanto deve essere intesa come il maggior componente fosfolipidico del surfattante ma non è il surfattante stesso. In particolare la comparsa nel liquido amniotico del PG stabilizza il surfattante e rappresenta in definitiva la sostanza che determina ed indica la raggiunta maturità polmonare. La mancanza di tali requisiti conduce, alla nascita, all'insorgenza della ben nota e temuta sindrome da distress respiratorio (RDS), ed in seguito alla comparsa in percentuali diverse delle membrane ialine polmonari.
    Si consideri che a tutt'oggi la mortalità per tali problematiche si mantiene piuttosto elevata. Il miglior modo di valutare la maturità polmonare è quella di calcolare il cosiddetto profilo polmonare misurando nel liquido amniotico prelevato con l'amniocentesi tardiva il rapporto lecitine/sfingomieline e la percentuale di fosfatidil-inositolo (PI) e di fosfatidil-glicerolo (PG). In considerazione degli straordinari progressi della neonatologia, feti sempre più prematuri sono trattati con successo dopo la nascita. Di conseguenza, per ragioni pratiche, il numero dei feti che per poter nascere necessitano di un accurato profilo polmonare è sempre più ridotto. All'occorrenza ci si orienta perciò su test meno accurati ma anche meno costosi e più semplici che possono essere eseguiti in ogni momento del giorno e della notte per praticità e semplicità di esecuzione. Tra questi alcuni importanti centri di diagnosi prenatale preferiscono eseguire il test spettrofotometrico di Sbarra. Tale test necessita di una semplice analisi del campione di liquido amniotico, prelevato tramite amniocentesi, ed esaminato ad una lunghezza d'onda di 650 nm, azzerando lo strumento con acqua distillata. Il valore che si ottiene è da mettere in relazione con il valore del rapporto lecitine/sfingomieline ed è pertanto un discreto indice di maturità polmonare.

    Procedura di esecuzione[12]

    L'amniocentesi, come tutte le indagini invasive materno fetali, presenta il rischio di trasmettere al feto malattie infettive in senso madre-feto. Presenta inoltre la possibilità di mettere in contatto dal punto di vista antigenico i due compartimenti. Per il primo problema si deve, in linea di principio, evitare di eseguire esami invasivi in presenza di infezione materna in atto. Innanzitutto è buona norma evitare di eseguire il prelievo durante un episodio febbrile materno. Gli esami preliminari devono quindi escludere la presenza di un agente infettivo circolante. Ovviamente nessuna importanza hanno i dati immunologici che mostrano una risposta anticorpale verso un agente infettivo oramai confinato in senso temporale. A lungo si discute ancora sui diversi agenti infettivi e sulla loro relativa teratogenicità. Ciononostante, in assenza di chiare prove di pericolosità, ogni agente infettivo deve essere considerato potenzialmente teratogeno. In via preliminare si ritiene infatti utile disporre di alcuni esami infettivologici:
    Rosolia (anticorpi G ed M)
    Toxoplasmosi (anticorpi G ed M)
    Citomegalovirus (anticorpi G ed M)
    Markers essenziali per epatite B e C
    Soprattutto per quest'ultimo esame il problema è complesso e controverso. Mentre per la epatite B si è piuttosto in accordo sulla possibile pericolosità dell'infezione ed è noto che l'infezione può essere portata al feto solo in occasione del parto, ovvero in occasione di trasfusioni feto-materne (ad esempio emorragie o tecniche invasive), per la C non si hanno al momento attuale conoscenze definitive sulle modalità di trasmissione del virus.
    Si deve però tener presente che è necessario conoscere, in caso di positività degli anticorpi anti epatite, se nella madre il virus sia anche circolante. Questo oggi può essere fatto attraverso l'esame della PCR. Se il virus è presente, si segnala la possibilità che questo si trasmetta al feto in utero e tale possibilità è sicuramente aggravata da ogni procedura invasiva intrauterina.
    Per ciò che riguarda la possibilità di esporre gli antigeni fetali all'aggressione del compartimento materno, è noto che è possibile che si verifichi una reazione anticorpale in particolare verso gli antigeni del sistema ABO e del fattore Rh. A tal fine è una norma ormai stabilizzata quella di richiedere anche il gruppo ed il fattore Rh di entrambi i genitori.
    In caso di incompatibilità del sistema Rh è d'uso praticare alla gestante una dose di Immunoglobuline Anti-D.
    La quantità di sangue che dal feto deve raggiungere la madre, affinché si possa sviluppare una risposta immune, è stata ricercata, con metodica sperimentale, negli anni passati ed è risultata solitamente non inferiore ai 3/5 ml. Per ottenere un passaggio transplacentare di una così considerevole quantità di sangue, è pertanto necessario che si verifichi una lesione significativa del compartimento materno-fetale. Tale lesione e la possibilità di contatto risulta estremamente improbabile se si esegue una amniocentesi transamniotica ed è solo possibile in quelle transplacentari. Risulta allora utile raccomandare di seguire la via transamniotica in tutti i casi in cui esista una incompatibilità materno-fetale. Tale precauzione, pur non garantendoci in modo assoluto, riduce comunque sostanzialmente il rischio.
    Altrettanto recentemente si va sempre più focalizzando l'attenzione sulla responsabilità di alcuni agenti infettivi nel determinismo della rottura precoce delle membrane (PROM). È ovvio pertanto che se andremo ad eseguire l'amniocentesi in un soggetto già portatore dell'infezione, anche se asintomatica, aumenteremo sensibilmente il rischio dell'amniotite e della conseguente rottura delle membrane. Per evitare che ciò accada è buona norma, oramai consolidata in centri specializzati, quella di far precedere l'amniocentesi da esami specifici per la ricerca del Mycoplasma Urealitycum ed Hominis, nonché della Clamydia nel muco cervicale ogni qual volta si sospetti una infezione di tale tipo. Riteniamo sospetti i soggetti con anamnesi positiva per rottura prematura delle membrane anche in precedenti gravidanze ovvero soggetti che nell'anamnesi presentano infezioni genitali.
    Assieme a delle preliminari procedure diagnostiche è entrato nell'uso corrente il trattamento preventivo con betamimetici, nel tentativo di ridurre l'abortività. In uno studio campione effettuato c/o l'Artemisia Main Center di Roma (centro in cui si effettuano circa 5000 amniocentesi all'anno) si sono trattati con diverse procedure circa 400 casi, dividendoli in 3 gruppi in base al trattamento attuato:
    Beta-mimetici da 2 giorni prima a 5 giorni dopo l'amniocentesi
    Aspirinetta, quale antiprostaglandinico per lo stesso periodo
    Nulla.
    Non fu trovata nessuna differenza in termini di aborto né di complicanze postabortive. Addirittura anche la soggettiva sensazione di attività contrattile non differì nei 3 gruppi. Da allora l'uso dei betamimetici viene riservato a quei soggetti nei quali già esiste una condizione di irritabilità uterina o una minaccia d'aborto, riservandoci, caso per caso, la scelta.
    Esami preliminari [modifica]
    Gruppo sanguigno e fattore Rh (entrambi)
    Transaminasi GOT e GPT
    Markers epatite
    Test HIV
    Mycoplasma hominis (solo soggetti con anamnesi positiva per PROM)
    Uraplasma (solo soggetti con anamnesi positiva per PROM)
    Clamydia (solo soggetti con anamnesi positiva per PROM)
    Tampone per germi comuni (solo soggetti con anamnesi positiva per PROM)
    TORCH
    Test di Coombs indiretto, se Rh-
    PCR per epatite B e C (solo soggetti con anticorpi positivi)
    In alcuni centri è stata introdotta nella pratica una copertura antibiotica con Azitromicina o Trozocina al dosaggio di 500 mg. 1 cp al giorno per 3 giorni prima della procedura (giorno del prelievo compreso). A tal fine ci si propone di ridurre sostanzialmente l'incidenza delle rotture del sacco che si associa in modo altamente significativo alla preesistenza di germi specifici e particolarmente del Mycoplasma. Nei casi in cui il mycoplasma non sia sensibile all'eritromicina, si può utilizzare la clindamicina. Indipendentemente dall'uso dell'antibiotico, che deve comunque associare al più ampio spettro di azione anche l'innocuità per il feto, si deve ricercare di ottenere una procedura garantita dalla minore incidenza possibile di amniotite. Si è infatti sempre più convinti che la rottura del sacco amniotico (PROM) determinata dall'amniocentesi o avvenuta spontaneamente, sia conseguente ad una infezione delle membrane.

    Tecnica

    Il successo di un prelievo di liquido amniotico dipende in buona misura dal supporto tecnologico utilizzato. Nei primi tempi l'ecografia serviva solo come localizzazione della sede di inserzione dell'ago. Si eseguivano delle scansioni accurate, alla ricerca di tasche di liquido libere dalla presenza del feto. Si eseguiva poi un segno con una matita dermografica sull'addome materno e successivamente si inseriva l'ago. Questa metodica, primitiva ed alquanto rischiosa, è stata progressivamente sostituita dalle tecniche ecoassistite ed ecoguidate.
    Nella amniocentesi ecoassistita l'ago viene inserito cercando di guidarne il percorso attraverso la contemporanea visualizzazione del suo tragitto mediante una sonda posta dappresso all'ago ed opportunamente orientata, di solito a 45 gradi. Tale metodica presenta come svantaggio una ridotta precisione, ma d'altra parte lascia all'operatore una discreta possibilità di manovra con l'ago.
    Si deve, per tutte le metodiche ecoassistite, seguire la regola generale di porre la sonda in una posizione ottimale che visualizzi la zona che si vuole raggiungere con l'ago. Si deve inoltre operare in modo che sia l'ago stesso, mediante delicati spostamenti, ad entrare nel campo visivo della sonda e non viceversa. Spesso infatti, una volta inserito l'ago, questo non si visualizza nel monitor; se compiamo l'errore di spostare il trasduttore, corriamo il rischio di allontanarci dall'immagine che si riferisce al luogo che avevamo scelto come sede del prelievo. Sarà pertanto necessario che si manovri esclusivamente sull'ago. Qualora sentissimo sopraggiungere una contrazione, questa va assecondata e bisogna solo attendere che spontaneamente cessi.
    La tecnica ecoguidata si avvale di uno stativo rigido applicato alla sonda che imprime all'ago una traiettoria obbligata. Esistono in commercio anche stativi esterni, da applicare ad una normale sonda ecografica trasformandola all'occorrenza in una sonda da biopsia. Presentano lo svantaggio di non poter seguire il tragitto dell'ago nei primi tre centimetri. Trattandosi poi di sonde convenzionali non possono essere sterilizzate ma risulta necessario applicarvi sopra un guanto od un cappuccio sterile. Queste, d'altra parte, hanno il pregio di essere di basso costo.
    L'amniocentesi viene eseguita da parte di un unico operatore; se si dispone dell'aiuto di un assistente si può utilizzare una sonda dotata di una geniale modifica tecnica, cioè quella di poter liberare l'ago immediatamente dopo che questo sia stato guidato nel punto esatto in cui si desidera prelevare. Si unisce così il vantaggio di operare un prelievo perfettamente ecoguidato alla caratteristica della tecnica ecoassistita di assecondare le eventuali contrazioni dell'utero.
    L'ago da utilizzare è di grande importanza giacché deve unire diverse doti quali: una buona rigidità, la necessità di poter essere visualizzato agli ultrasuoni ed il giusto calibro.
    Aghi molto sottili comportano tempi di prelievo troppo prolungati e risultano inoltre troppo flessibili potendo deviare dal tragitto originario impressogli dall'ecoguida. Aghi troppo spessi oltre a provocare vivo dolore alla paziente possono risultare traumatici ed aumentare il rischio di aborto. Si ritiene che un giusto compromesso sia raggiunto utilizzando un ago 20 gauge, della lunghezza di 20 cm, lunghezza questa necessaria utilizzando sonde ecoguidate che presentano alcuni cm di percorso obbligato all'esterno dell'addome. La scelta del punto di inserzione dell'ago rappresenta l'elemento più importante per il buon esito della metodica. In centri di elevatissimo livello, in cui si eseguono circa 5000 procedure all'anno, è stato dimostrato come l'amniocentesi transplacentare rappresenti la via di accesso più sicura.
    Una volta inserito l'ago è bene che le prime gocce di liquido aspirato vengano eliminate con le possibili impurità che esse possono contenere. Il liquido prelevato varia in quantità a seconda degli esami da eseguire e delle condizioni fetali e dei suoi annessi. Normalmente, per una coltura citogenetica, si aspirano circa 20 cc di liquido.
    Se il liquido fuoriuscisse contaminato da sangue fresco, dovuto ad un sanguinamento endoamniotico, provocato dal passaggio dell'ago, è bene prelevarne un po' in eccesso (25 / 30 ml) ed aggiungere qualche goccia di eparina sterile alla provetta. In tal modo si impedisce che la formazione del coagulo intrappoli anche le cellule amniotiche da esaminare in coltura.
    I liquidi ematici presentano diversi problemi di analisi dovendo essere trattati con procedure di purificazione (shock ipotonici) prima di allestirne le colture stesse. Ciò riduce percentualmente il successo dell'esame citogenetico. Se il liquido prelevato è brunastro a causa di una vecchia emorragia endoamniotica ci comportiamo egualmente, prelevandone una quantità superiore. Solitamente non vi aggiungiamo eparina giacché il sangue vecchio ha perso la sua capacità di coagulare. L'aggiunta di eparina deve essere invece evitata se nel liquido amniotico si intendesse eseguire una indagine diretta alla ricerca di un agente infettivo (es. il Citomegalovirus). L'eparina infatti interferisce con alcuni enzimi essenziali per il buon esito della reazione a catena della polimerasi (PCR), tecnica oggi largamente utilizzata per la sua formidabile capacità di amplificare poche sequenze di DNA del materiale da analizzare.
    La quantità prelevata varia inoltre a seconda del liquido disponibile in cavità amniotica.
    In età gestazionale molto precoci è invalso l'uso di prelevarne una quantità corrispondente alle settimane di gravidanza e ciò fino alla 14°/15°. Negli oligoidramnios solitamente ve ne è disponibile una quantità sufficiente per i 20 ml del prelievo. A seguito del prelievo del liquido la condizione può aggravarsi riducendo sensibilmente lo spazio per il feto. In tali casi è buona norma instillare, dopo l'aspirazione, con lo stesso ago una opportuna quantità di liquido dall'esterno (amnioinfusione). Nei casi, eccezionali, ove ci si trovi di fronte ad un vero anidramnios, si procede con la tecnica del washing, operando come segue. Si individua una tasca amniotica in corrispondenza di alcune anse di funicolo. Vi si penetra con l'ago all'interno con molta delicatezza per evitare di forare il funicolo, cosa che comunque, qualora avvenisse, non rappresenterebbe un particolare problema, ma condurrebbe direttamente al prelievo di sangue fetale ai fini diagnostici (funicolocentesi). Se si procede con cautela ciò comunque non accade e le anse di cordone fanno spazio alla punta dell'ago. Una volta penetrati in cavità si inietta una quantità di liquido sufficiente per un lavaggio. Solitamente sono sufficienti un paio di siringhe da 20 per riuscire a trarre quei 5/10 ml che, inviati al laboratorio, sono necessari a fornire il risultato citogenetico. Il liquido amniotico, come si è in precedenza accennato, può presentare colorazioni differenti a seconda dei casi. Solitamente color paglierino, molto chiaro nelle epoche di gravidanza più precoci, tende poi a scurirsi, assumendo un colore giallo pieno tra la 16° e la 20° settimana di gestazione. La colorazione brunastra è da riferirsi, come si è detto ad emorragie endoamniotiche. La gradazione del colore varia molto risultando più scuro, nei casi in cui l'emorragia fu massiva ed il tempo trascorso sufficiente a degradare il pigmento rosso del sangue mutandolo in bruno. Questo colore non deve preoccupare il prelevatore giacché deriva da un sanguinamento avvenuto solitamente da più giorni.
    La pigmentazione brunastra si riscontra in circa 1 su 50 amniocentesi. Molto spesso il reperto è del tutto occasionale non essendo presente nell'anamnesi alcun accenno ad una pregressa minaccia d'aborto.
    Più infrequente è il riscontro di una colorazione giallo carico, francamente bilirubinico. Tale reperto è, in alcuni centri, riscontrabile in un caso su 80/100 amniocentesi. Dagli esami ci si accorge che la colorazione è realmente dovuta ad una iperbilirubinemia, conseguente il più delle volte ad una emolisi. L'origine di questa può essere tanto fetale, quanto materna, essendo le membrane permeabili al pigmento. La quasi totalità dei casi giunti alla nostra osservazione sono del tutto occasionali. Né è possibile di solito comprendere l'origine della bilirubina, anche se riteniamo che episodi di emolisi materna siano di gran lunga la più frequente causa. Soggetti, infatti, portatori di sindrome di Gilbert, ovvero di favismo od altra iperbilirubinemia su base familiare, mostrano una più alta frequenza di tale fenomeno rispetto ai controlli. In alcuni casi l'emolisi può essere occasionale (es. da farmaci o da alimenti) ed essere passata del tutto asintomatica ed inavvertita dalla gravida. La pigmentazione del liquido permane molto più a lungo rispetto all'iperbilirubinemia plasmatica, cosicché l'esame della madre il più delle volte non mostra alterazioni di sorta. Bisogna inoltre considerare che il pigmento bilirubinico possa anche derivare dall'ultima trasformazione cromatica di un'antica emorragia endoamniotica.

    Rischio dell'amniocentesi

    Gli studi attuali mostrano che, nei centri di eccellenza, l'incidenza di abortività spontanea, natimortalità, e mortalità neonatale non sono statisticamente differenti nel gruppo sottoposto ad amniocentesi rispetto a chi non la esegue[2]. Letteratura ancora piu' recente dimostra come il rischio di aborto, nei centri di alto riferimento, si aggiri attorno allo 0,1%[3]. Pertanto il classico studio di Tabor[1] non è da considerarsi più attuale. Come detto all'inizio del testo, un grande trial randomizzato[4], eseguito su di una popolazione di 36247 soggetti, ha dimostrato che il rischio di aborto, nelle donne che assumono un antibiotico per profilassi prima di sottoporsi ad una amniocentesi, è risultato molto basso (0,031%), uguale (se non inferiore a causa della protezione dell'antibiotico) rispetto addirittura a chi non la esegue. Oltre all'aborto esiste poi tutta una serie di problematiche che vale la pena di ricordare. La più frequente di queste risulta essere la lipotimia che segue la procedura. Giocano a determinarla fattori emozionali come la tensione e l'ansia dell'aspettativa, ma anche vere componenti neurovegetative. La pressione arteriosa, per solito bassa all'inizio della gestazione, può portare a lipotimia in seguito alla stimolazione vagale operata durante il passaggio dell'ago nel peritoneo. L'uso di betamimetici che, come si è detto, è piuttosto superfluo ai fini di una reale prevenzione di una minaccia d'aborto, può determinare un ulteriore calo pressorio. Non vale la pena pertanto di somministrarli senza discriminazione soprattutto nelle stagioni calde. L'insorgenza di attività contrattile è evenienza piuttosto frequente e transitoria. L'uso dei betamimetici in tali casi è comunque indicata. Al persistere della sintomatologia si è soliti far eseguire un controllo delle infezioni nel muco cervicale e, se presenti, trattarle di conseguenza.
    Per un trattamento immediato, di pronta efficacia, si può utilizzare una modesta dose di alcool, per esempio sotto forma di un superalcolico assunto per via orale, come 10 o 15 cc di grappa, cognac o analoghi. L'efficacia tocolitica è straordinaria ed immediata, ma limitata a poche ore. Il trattamento poi andrà proseguito con le terapie convenzionali.
    La corionamnionite rappresenta una rara complicanza, piuttosto temibile che conduce ad aborto e, seppur molto raramente, può determinare gravi problemi per la madre. In tali casi al solo sospetto che si stia verificando tale eventualità bisogna non porre il minimo indugio al trattamento. Trattare con antibiotici a dosi generose ad ampio spettro i casi in cui il feto è ancora vitale e non differire assolutamente l'intervento di revisione della cavità uterina se il feto è morto. Ciò in considerazione delle temibilissime sequele che possono mettere a grave rischio anche la vita della madre. Come conseguenza di amniotiti parziali e guarite si possono, inoltre, creare delle bande amniotiche.
    La complicanza più temibile risulta comunque la rottura traumatica delle membrane. Tale evenienza accade con una incidenza di circa 1 caso su 300 amniocentesi. Come detto in precedenza, ciò accade solo se l'amniocentesi è transamniotica (circa 1 volta su 150/200 amniocentesi transamniotiche). La temibilità di tale evenienza risiede nel fatto che conduce all'aborto in un caso su 3. Le rimanenti 2 gestazioni si complicano comunque con oligoidramnios, amniotiti, parto pretermine, e, più raramente, distacco intempestivo di placenta. Nei casi in cui ciò avvenisse, può essere indicato, oltre al riposo a letto ed alla terapia antibiotica e tocolitica, la collocazione di una coppetta cervicale, il più precocemente possibile, monitorizzando attentamente la possibile insorgenza di infezione endoamniotica.
    Va immediatamente eseguito un tampone cervicale per riconoscere l'agente infettivo eventualmente presente e trattarlo di conseguenza.
    L'antibiotico di prima scelta risulta essere la eritromicina, la cui attività antiproteolitica si somma alla attività specifica contro gli agenti oggi considerati più probabilmente collegati alla rottura "spontanea" delle membrane.
    Bisogna inoltre ribadire che la rottura traumatica delle membrane accade sovente in soggetti che sono già portatori di un'infezione, in particolare da Mycoplasma o Ureaplasma. Il trauma provocato dall'amniocentesi determina una riacutizzazione locale del processo infettivo che, a sua volta, determina una proteolisi delle membrane. Molti di tali soggetti, probabilmente, sarebbero andate incontro, nel proseguo della gestazione, ad una rottura spontanea delle membrane. L'esistenza di un'infezione endoamniotica è anche causa di diverse patologie che possono impedire un buon svolgimento della gravidanza.

    Risultati

    L'esame è molto sicuro. Gli errori sono eccezionali, ma, come per tutte le pratiche mediche, bisogna comprendere che ci può essere un'eccezione o un caso nuovo. In circa un caso su 1000 esami, la coltura delle cellule non riesce (per mancata crescita della coltura cellulare, per contaminazione massiva di sangue materno...) e il prelievo va ripetuto.
    Alcuni centri eseguono la ibridazione fluorescente in situ (FISH) con la quale si può avere una risposta preliminare (quella sulle forme classiche di mongolismo) dopo solo 48 ore dall'esecuzione del prelievo, mentre la risposta definitiva si ottiene dopo circa 12-15 giorni. Al momento attuale i centri più avanzati eseguono i test rapidi con un'analisi di siti specifici di cromosomi mediante reazione a catena della polimerasi (PCR).
    Dopo circa un'ora dal prelievo verrà effettuata un'ecografia per verificare la presenza del battito cardiaco fetale; la paziente potrà poi tornare al proprio domicilio senza alcuna particolare terapia, se non la precauzione di non sollevare pesi e/o effettuare sforzi per 3-4 giorni.

    Note

    ^ a b Questo, fino al 2009, è stato l'unico studio randomizzato presente in letteratura per il calcolo del rischio di interruzione di gravidanza in caso di esecuzione di amniocentesi: Tabor A, Philip J, Madsen M. Randomised controlled trial of genetic amniocentesis in 4606 low-risk women. Lancet 1986;1:1287-93
    ^ a b Eddleman KA, Malone FD, Sullivan L, Dukes K, Berkowitz RL, Kharbutli Y, Porter TF, Luthy DA, Comstock CH, Saade GR, Klugman S, Dugoff L, Craigo SD, Timor-Tritsch IE, Carr SR, Wolfe HM, D'Alton ME. Pregnancy loss rates after midtrimester amniocentesis. Obstet Gynecol. 2006 Nov;108(5):1067-72
    ^ a b Odibo AO, Gray DL, Dicke JM, Stamilio DM, Macones GA, Crane JP. Revisiting the fetal loss rate after second-trimester genetic amniocentesis: a single center's 16-year experience. Obstet Gynecol. 2008 Mar;111(3):589-95
    ^ a b Giorlandino C, Cignini P, Cini M, Brizzi C, Carcioppolo O, Milite V, Coco C, Gentili P, Mangiafico L, Mesoraca A, Bizzoco D, Gabrielli I, Mobili L. Antibiotic prophylaxis before second-trimester genetic amniocentesis (APGA): a single-centre open randomised controlled trial. Prenat Diagn. 2009 Jun;29(6):606-12
    ^ Da ncbi.nlm.nih.gov
    ^ Da ncbi.nlm.nih.gov
    ^ Da ncbi.nlm.nih.gov
    ^ P. De Coppi, G Barstch, Anthony Atala et altri (2007). Isolation of amniotic stem cell lines with potential for therapy. Nature Biothecnology 25 (5): 100-106. DOI:10.1038/nbt1274.
    ^ [1]
    ^ Da ncbi.nlm.nih.gov
    ^ indicazioni riportate dall'ACOG Practice Bulletin n° 27, maggio 2001
    ^ (EN) La descrizione della tecnica è tratta, previa autorizzazione dell'Autore, dal testo: "TRATTATO ITALIANO DI DIAGNOSI PRENATALE INVASIVA E TERAPIA FETALE", Ed. CIC Edizioni Internazionali [2]
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